
Marzo 2015. Campo Profughi Al-Arroub, nei pressi di Hebron, West Bank.
All’entrata del campo ci imbattiamo in una folla di palestinesi che, agitata, indica una stazione di controllo israeliana, dall’altra parte della strada. Qualcuno è stato arrestato, ci fanno capire. I criminali: alcuni bambini dai 6 agli 8 anni. Il delitto: lancio di pietre contro i militari.
Saidee, la poetessa che siamo venuti ad intervistare, non fa in tempo ad accoglierci, che gia' s'è precipitata all’interno della stazione per capirne di più. La seguiamo, ma alcuni militari ci intimano di aspettarla fuori. Ne esce qualche minuto più tardi, rassicurandoci: “Don’t be scared, you see, every day like this!”, la brutalità dell’occupazione militare che si fa routine. In quello stesso momento, un uomo in abiti civili, che si accompagna ai soldati, sfodera il suo smarthpone, lo punta contro di noi, e ci filma, allontanandosi subito dopo. Non sapendo bene se e come quelle riprese saranno utilizzate, decidiamo di spostarci per intervistare la donna all’interno del campo.
Saidee ha 64 anni. Vive neI campo profughi Al-Arroub da quando ne aveva 10, ma proviene da Iraq El Man Shia, un villaggio vicino al confine con Gaza. Fa parte dei 700.000 palestinesi costretti ad abbandonare i propri villaggi nel ’48, durante la Nakba (la Catastrofe, in arabo).
I campi profughi accolgono i rifugiati in fuga dai territori occupati dall’esercito israeliano. Nati come insediamenti temporanei, si sono nel tempo stabilizzati, diventando enormi agglomerati di edifici fatiscenti, con servizi fognari scadenti ed un allarmante densità di popolazione.
E mentre, guidati dalla poetessa, attraversiamo il girone dei rifugiati, tra vicoli stretti, graffiti colorati e negozi di abbigliamento improvvisati in spazi angusti, ci ritroviamo di fronte ad un gruppo di ragazzini palestinesi, e, circa un centinaio di metri più avanti, due soldati israeliani.
Per bambini come questi, il contatto con le forze repressive israeliane, il contatto con divise, fucili d’assalto, gas lacrimogeni e arresti è la normalità. E, nello scontro quotidiano con la presenza autoritaria delle divise, provocare un soldato, con un'offesa o una pietra, diventa quasi un gioco, un modo per spassarsela con i coetanei. A queste provocazioni però, spesso i soldati israeliani rispondo con arresti arbitrari, quando non addirittura con le armi.
I ragazzini che abbiamo davanti avranno tra i 6 e gli 11 anni, probabilmente sono amici di quelli arrestati al nostro arrivo. Scherzano divertiti, urlano qualcosa ai soldati, in lontananza. Quelli rispondono in arabo, con tono minaccioso.
D'un tratto, uno dei militari imbraccia il fucile e lo punta nella nostra direzione, contro i bambini. Il tempo si ferma per qualche istante. Non succede nulla, poi i bambini si disperdono e l’arma si abbassa. “Don’t be scared, you see, everyday like this!”, ripete come un mantra Saidee, sorridendo.
La casa in cui abita e' composta principalmente da una piccola stanza, all’interno due materassi poggiati a terra, su cui ci fa accomodare. Ma anche qui, tra tè caldo e baklava, l’intervista viene interrotta dalla realtà dell’ambiente circostante. Tre soldati fanno irruzione alla ricerca dei pericolosissimi bimbi e, non trovandoli, se ne vanno. Qualche minuto più tardi arrivano i precoci ricercati, probabilmente avendo sentito della nostra presenza lì. Uno è timido, prende un dolcetto e si siede in disparte, l’altro sorride grande, e racconta che l’hanno arrestato perché ha lanciato un sasso. Poi ne arrivano altri, di bimbi. Scherzano, giocano e fanno merenda, nel minuscolo salotto della poetessa. E, per un attimo, scompaiono i soldati ed i fucili, scompaiono i campi profughi e gli arresti, e restano soltanto dei bambini vivaci che si godono l’accoglienza di una nonna saggia e protettiva. Poi incrociamo lo sguardo di Saidee, e torniamo alla realtà. Ci sorride con gli occhi, ed un po’ è come se lo ripetesse, un'ultima volta, sarcastica: “Don’t be scared, you see, everyday like this!".
Per maggiori informazioni sulle violazioni dei diritti dei minori nei territori occupati:
http://www.dci-palestine.org/
Altro su infanzia e campo profughi:
http://nena-news.it/palestina-cosa-significa-crescere-un-c…/
All’entrata del campo ci imbattiamo in una folla di palestinesi che, agitata, indica una stazione di controllo israeliana, dall’altra parte della strada. Qualcuno è stato arrestato, ci fanno capire. I criminali: alcuni bambini dai 6 agli 8 anni. Il delitto: lancio di pietre contro i militari.
Saidee, la poetessa che siamo venuti ad intervistare, non fa in tempo ad accoglierci, che gia' s'è precipitata all’interno della stazione per capirne di più. La seguiamo, ma alcuni militari ci intimano di aspettarla fuori. Ne esce qualche minuto più tardi, rassicurandoci: “Don’t be scared, you see, every day like this!”, la brutalità dell’occupazione militare che si fa routine. In quello stesso momento, un uomo in abiti civili, che si accompagna ai soldati, sfodera il suo smarthpone, lo punta contro di noi, e ci filma, allontanandosi subito dopo. Non sapendo bene se e come quelle riprese saranno utilizzate, decidiamo di spostarci per intervistare la donna all’interno del campo.
Saidee ha 64 anni. Vive neI campo profughi Al-Arroub da quando ne aveva 10, ma proviene da Iraq El Man Shia, un villaggio vicino al confine con Gaza. Fa parte dei 700.000 palestinesi costretti ad abbandonare i propri villaggi nel ’48, durante la Nakba (la Catastrofe, in arabo).
I campi profughi accolgono i rifugiati in fuga dai territori occupati dall’esercito israeliano. Nati come insediamenti temporanei, si sono nel tempo stabilizzati, diventando enormi agglomerati di edifici fatiscenti, con servizi fognari scadenti ed un allarmante densità di popolazione.
E mentre, guidati dalla poetessa, attraversiamo il girone dei rifugiati, tra vicoli stretti, graffiti colorati e negozi di abbigliamento improvvisati in spazi angusti, ci ritroviamo di fronte ad un gruppo di ragazzini palestinesi, e, circa un centinaio di metri più avanti, due soldati israeliani.
Per bambini come questi, il contatto con le forze repressive israeliane, il contatto con divise, fucili d’assalto, gas lacrimogeni e arresti è la normalità. E, nello scontro quotidiano con la presenza autoritaria delle divise, provocare un soldato, con un'offesa o una pietra, diventa quasi un gioco, un modo per spassarsela con i coetanei. A queste provocazioni però, spesso i soldati israeliani rispondo con arresti arbitrari, quando non addirittura con le armi.
I ragazzini che abbiamo davanti avranno tra i 6 e gli 11 anni, probabilmente sono amici di quelli arrestati al nostro arrivo. Scherzano divertiti, urlano qualcosa ai soldati, in lontananza. Quelli rispondono in arabo, con tono minaccioso.
D'un tratto, uno dei militari imbraccia il fucile e lo punta nella nostra direzione, contro i bambini. Il tempo si ferma per qualche istante. Non succede nulla, poi i bambini si disperdono e l’arma si abbassa. “Don’t be scared, you see, everyday like this!”, ripete come un mantra Saidee, sorridendo.
La casa in cui abita e' composta principalmente da una piccola stanza, all’interno due materassi poggiati a terra, su cui ci fa accomodare. Ma anche qui, tra tè caldo e baklava, l’intervista viene interrotta dalla realtà dell’ambiente circostante. Tre soldati fanno irruzione alla ricerca dei pericolosissimi bimbi e, non trovandoli, se ne vanno. Qualche minuto più tardi arrivano i precoci ricercati, probabilmente avendo sentito della nostra presenza lì. Uno è timido, prende un dolcetto e si siede in disparte, l’altro sorride grande, e racconta che l’hanno arrestato perché ha lanciato un sasso. Poi ne arrivano altri, di bimbi. Scherzano, giocano e fanno merenda, nel minuscolo salotto della poetessa. E, per un attimo, scompaiono i soldati ed i fucili, scompaiono i campi profughi e gli arresti, e restano soltanto dei bambini vivaci che si godono l’accoglienza di una nonna saggia e protettiva. Poi incrociamo lo sguardo di Saidee, e torniamo alla realtà. Ci sorride con gli occhi, ed un po’ è come se lo ripetesse, un'ultima volta, sarcastica: “Don’t be scared, you see, everyday like this!".
Per maggiori informazioni sulle violazioni dei diritti dei minori nei territori occupati:
http://www.dci-palestine.org/
Altro su infanzia e campo profughi:
http://nena-news.it/palestina-cosa-significa-crescere-un-c…/